Per merito (o per colpa) del web e delle nuove tecnologie, gli albergatori sono costantemente bombardati da professionisti e consulenti che millantano di risolvere qualunque problema o, almeno, di migliorare la loro situazione. Tra i termini più abusati online e sui social, troviamo: disintermediazione, revenue management, channel manager, booking engine, performance, business intelligence…
Però, si sa… abusare, spesso, vuol dire inflazionare!
Una delle ragioni per le quali gli albergatori fanno fatica a sposare la filosofia del Revenue Management è la cattiva informazione.
Recentemente, il titolare di una meravigliosa struttura ricettiva, al quale avevo chiesto se utilizzasse delle strategie di Revenue Management o se sapesse di cosa si trattasse, mi ha risposto: “Sì, so cos’è… è quella roba americana per abbassare le tariffe, ma ormai, si sa… è cosa superata”!
Ora, l’esistenza di un hotel candidato alla quinta stella, il cui titolare (e contemporaneamente general manager) è completamente a digiuno rispetto ad alcuni strumenti di gestione, non credo sia più ammissibile!
Con questo, non intendo dire che applicare i principi del RM sia obbligatorio ma, quantomeno, che si sappia cosa sia.
Tantissimi albergatori sono convinti che il RM sia un sistema per abbassare le tariffe e che rifiutano, quindi, ogni possibile approccio alla materia. Il problema, però, è che quando si chiede loro qualche informazione in merito alla strategia tariffaria che applicano, le risposte non sono mai soddisfacenti, né derivanti da studi o basi scientifiche. Sì, perché la modalità più diffusa di costruzione dei prezzi sembra essere ancora l’autovalutazione del proprio prodotto:
ex.: le mie camere son talmente belle che, piuttosto che svenderle a meno di € 90,00 a notte, preferisco tenermele vuote!
Se mi avessero dato € 1,00 ogni volta che ho sentito pronunciare questa frase, a quest’ora sarei al sole dei Caraibi! Posso, dunque, affermare che un’altra ragione per la quale gli albergatori sono spesso restii al concetto di Revenue Management è la difficoltà a mettere in discussione la propria willingness to pay, cioè la propria propensione alla spesa: se ritengo che la mia camera valga € 100,00 (anche perché il mio vicino vende la stessa tipologia di camera per € 110,00), faccio fatica ad accettare l’esistenza di altri segmenti di mercato disposti a spendere di meno, ma a crearmi comunque ricavi e profitti, o addirittura di più, facendo migliorare di molto le mie performance.
Probabilmente, però, la causa principale che spinge gli albergatori a preferire ancora le tariffe fisse o, nella migliore delle ipotesi, i listini tariffari di bassa, media o alta stagione è la paura del cambiamento. L’essere umano, in generale, ha timore di uscire dalla propria zona di confort (nonostante in alcuni casi sia molto scomoda) e modificare alcuni aspetti della propria vita. Gli psicologi affermano che questa paura sia collegata direttamente al momento della nascita, nel quale ognuno di noi passa, in maniera violenta, da una situazione di tranquillità e tepore ad una di caos e freddo, magari anche con due sculacciate. Fatto sta che, a conferma di questa tesi, la risposta più diffusa da parte degli albergatori, dinnanzi ad una proposta di cambio strategia, è: “ma noi abbiamo sempre fatto così e ci siamo sempre trovati bene”. A questo punto, la domanda del consulente alberghiero nasce spontanea: se vi siete sempre trovati bene, che bisogno c’era di consultarmi? Ecco cosa ha fatto l’albergatore più folle che ho avuto in consulenza: dopo soli 15 giorni di lavoro in cui avevo iniziato ad impostare una strategia con tariffe dinamiche, avendo lui intuito che i prezzi si basavano anche sul previsionale di prenotazioni, cominciò a comunicarmi di proposito dati errati, per ottenere da me proposte di tariffe più alte. Non posso biasimare decisioni del genere, ma mi limito a sorridere e a riflettere. Mi rendo conto che affidare le scelte tariffarie ad uno “sconosciuto” possa essere davvero pericoloso e, alla fine, il rischio maggiore è dell’albergatore! Oggigiorno, i sedicenti esperti di revenue management sono tantissimi: ognuno con la sua strategia, ognuno con la sua filosofia e ognuno con la sua più o meno lunga esperienza! Di chi fidarsi?
Non sarò io a dirvelo. Quello che vi invito a fare, però, è condividere una strategia con un esperto solo dopo aver studiato la materia e averne appreso i concetti base su cui essa si fonda.
Un po’ come bisognerebbe fare con un commercialista, no? Affidarsi ad occhi chiusi al più simpatico, al più economico o al più recensito potrebbe rivelarsi una scelta disastrosa.
Non esiste “la strategia di revenue”, non esiste “la formula matematica del revenue”, esistono solo dati, segmenti di mercato, indicatori di performance e obiettivi! Il loro mix è qualcosa di intimamente personale!
E allora buon revenue management a tutti!
Guido Libonati